Come noto WhatsApp è uno strumento di messaggistica che consente agli utenti di inviare e ricevere chat e note vocali in tempi rapidissimi. Il diffusissimo impiego di tale applicazione ha indotto la giurisprudenza a pronunciarsi circa la validità dei messaggi scambiati virtualmente su WhatsApp come prova in una causa.
Le modalità per acquisire al processo una comunicazione WhatsApp come prova sono le seguenti:
Vi sono casi in cui non è necessario acquisire al processo la riproduzione o lo smartphone in quanto l’invio o il ricevimento del messaggio non è contestato. Il Tribunale di Catania, Sezione Lavoro, con ordinanza del 27.06.2017, ha riconosciuto la legittimità, sotto il profilo della sussistenza della forma scritta e della validità della sua comunicazione, del licenziamento intimato a mezzo WhatsApp, trattandosi di documento informatico che il lavoratore non ha contestato, avendo quest’ultimo formulato tempestiva impugnazione. Peraltro i giudici hanno osservato che l’app in questione consente di verificare che il messaggio sia stato consegnato (due spunte grigie) e letto (due spunte blu) dal destinatario, con tanto di data e ora di ricezione e lettura. Il licenziamento comminato via WhatsApp è stato pertanto considerato dai giudici catanesi un documento informatico che, laddove ricevuto, ha piena validità di prova, a maggior ragione se il dipendente impugna il licenziamento, dimostrando in tal modo di aver ricevuto e di aver imputato il messaggio con certezza al datore di lavoro.
A proposito dell’argomento in questione è doveroso un cenno al riconoscimento di debito effettuato tramite messaggi WhatsApp. In merito alla questione il Tribunale di Ravenna, con la sentenza n. 231 del 10.03.2017, ha condannato una donna a restituire all’ex amante il denaro che questi le aveva prestato per l’acquisto di un’auto basandosi sul contenuto delle conversazioni intrattenute via WhatsApp e depositate agli atti. Nella chat, infatti, la donna si era impegnata a restituire i soldi ricevuti dall’ex amante, versando delle rate mensili ed offrendo servizi di pulizia domestica. Il contenuto di tali conversazioni ha indotto i giudici ad escludere che il denaro versato dall’uomo sia stato corrisposto come atto di liberalità, con la conseguenza che il messaggio inviato dalla donna è stato equiparato ad un riconoscimento del debito stesso.
Alla luce di quanto sopra, esaminando altresì la giurisprudenza più recente, emerge chiaramente che le conversazioni WhatsApp possono avere certamente valore probatorio in un processo, anche nel caso in cui vengano contestate dalla parte nei confronti della quale sono state prodotte.